Esquilino

L' insula di Via Urbana

Fra il 2006 e il 2009 gli scavi per la riqualificazione di una palazzina su via Urbana 152 hanno riportato alla luce un contesto storico-archeologico unico, che sarà presto visitabile su prenotazione. La palazzina interessata dai lavori è stata sede a partire dal 1876 del Teatro Manzoni, che ospitava principalmente compagnie di prosa, spettacoli lirici e di varietà, fra cui le opere del celebre Ettore Petrolini, che proprio nel Rione Monti, in via Baccina, era nato nel 1884. Dopo un periodo di decadenza, il teatro fu trasformato nel 1932 in sala cinematrografica e tale rimase fino agli anni Sessanta del Novecento, quando lo stabile fu venduto ai proprietari del quotidiano romano Il Messaggero, che vi insediarono la stamperia del giornale. In quel momento, le strutture teatrali vennero completamente smantellate per fare posto alle rotative e alle enormi vasche per l'inchiostro, che purtroppo inflissero un duro colpo alla conservazione delle strutture archeologiche sottostanti. Della vecchia funzione sopravvive oggi solo la pensilina Liberty del teatro, che si conserva sulla facciata del palazzo. Nei primi anni Duemila, l'avvio dei lavori di ristrutturazione per la realizzazione di alcune unità abitative di pregio ha permesso la riscoperta delle fasi di vita più antiche: gli scavi archeologici hanno permesso di riportare alla luce parte di un'insula in parte già nota, un fabbricato a più piani che ospitava alcune botteghe - tabernae - al piano terra, e abitazioni ai piani superiori. Le strutture trovano infatti una corrispondenza eccezionale nella forma urbis severiana, una pianta incisa su marmo che costituisce una sorta di catasto della città come appariva agli inizi del III secolo d.C.

Tornando ai nostri scavi, la casa costruita tra il II e il III secolo d.C., si affacciava su un asse stradale di origine antichissima ricalcato dall'attuale via Urbana, il vicus Patricius, lungo il quale a partire dalla tarda età repubblicana sorsero numerose residenze di pregio. Probabilmente nel Seicento, quando Papa Urbano VIII dispose la ristrutturazione e l'ampliamento della via così come oggi la conosciamo, ad una quota di quasi 7 metri superiore a quella del basolato di età romana, alcune delle strutture antiche che sorgevano lungo la strada erano ancora in parte visibili.

La scoperta forse più sensazionale dei recenti scavi è costituita dai resti di alcuni ambienti appartenenti al palazzo che ospitava, alla fine del Settecento, il laboratorio artigano di Giovanni Trevisan, detto Volpato. Si può ben dire che il Volpato sia stato l'inventore del souvenir archeologico, e del mercato che ruotava intorno ad esso. A lui si lega infatti la prima produzione "industriale" di riproduzioni in miniatura dei grandi classici statuari dell'antichità, che tanto impulso ebbe dal vivacissimo mercato di opere d'arte, imitazioni dell'antico e incisioni, alimentato dai viaggiatori del Grand Tour. Le statuette in biscuit, che evocano in noi le riproduzioni dozzinali che infestano le bancarelle delle nostre città d'arte, non erano affatto a buon mercato: il prezzo medio di una statuina si aggirava sui 6 zecchini, e la clientela era costituita da una committenza blasonata, nella quale si annoverano nobili, sovrani e papi, che resero famoso l'artista in tutta Europa, come mostra un catalogo della sua opera conservato al Victoria and Albert Museum di Londra. Il mercato romano delle antichità, meta d'elezione dei viaggi dei nobili d'oltralpe, era fiorentissimo, come dimostra il numero dei lavoranti della sua fabbrica, circa 20, come dichiara lui stesso in uno dei suoi promemoria inviati al papa.