Esquilino

L'Auditorium di Mecenate

Mecenate, celebre consigliere dell'imperatore Augusto, amico di artisti e poeti al punto che oggi con il suo nome si designano i patrocinatori delle Arti, era proprietario di una ricca domus sull'Esquilino, localizzata sul versante orientale del Colle Oppio. Intorno alla metà del I secolo a.C., Mecenate decise di ampliare la proprietà verso Est, dando inizio alla realizzazione dei cosiddetti horti novi; si può dire che Mecenate diede inizio ad una trasformazione radicale dell'intero Esquilino, che avrebbe caratterizzato per secoli il quartiere, facendolo diventare dimora prediletta delle classi agiate e degli imperatori. In quel momento le mura serviane erano ormai in disuso, probabilmente in parte crollate, l'area immediatamente al loro esterno era occupata dal cimitero dei poveri, che aveva forse invaso anche l'antico fossato delle mura. Secondo il racconto del poeta Orazio, questa zona della città era ridotta a ricettacolo di immondizie, frequentato da "streghe, viandanti e derelitti". Il progetto di Mecenate prevedeva l'estensione del complesso residenziale verso Est e fu compiuto obliterando l'area con con un interro che raggiungeva i sei metri di spessore. Così Orazio ne descrive il risultato: “Ora si può abitare sull'Esquilino reso salubre e passeggiare al sole sull'aggere, da dove poco fa tristi si guardava biancheggiare un campo informe di ossa”. Non sappiamo se questa bonifica sia stata giustificata da ragioni igieniche, o se al contrario la poesia di Orazio, uno degli abituali frequentatori del “circolo” di Mecenate, abbia voluto coprire con una deliberata “propaganda politica” una spregiudicata operazione immobiliare che trasformava un'area pubblica in proprietà privata: fatto sta che, dopo l'ampliamento, gli horti di Mecenate si estendevano oltre le antiche mura di età regia, ormai celate alla vista, nell'area compresa tra il Teatro Brancaccio e Piazza Vittorio Emanuele II, su una superficie di oltre 11.500 metri quadrati, superiore alla residenza dello stesso Augusto.

La ricca residenza di Mecenate sorgeva dunque all'interno di uno straordinario parco; com'era tipico di questa tipologia abitativa, che diventerà caratteristica delle classi più agiate nei decenni successivi, il giardino era punteggiato da padiglioni distinti, adibiti a sale per i banchetti, sale di recitazione, portici, ninfei. La sola struttura degli horti di Mecenate che sia giunta fino a noi dopo gli sterri di fine Ottocento è il cosiddetto auditorium, un’aula absidata costruita a cavallo delle antiche mura. Alla sala, già in origine seminterrata, si accedeva attraverso una rampa pavimentata in opus spicatum, la stessa che utilizziamo ancora oggi. L'interpretazione come auditorium, proposta dagli scopritori, è stata oggi abbandonata a causa delle dimensioni ridottissime delle gradinate riservate agli spettatori: sembra piuttosto che la sala fosse un triclinio estivo, uno degli ambienti tipici delle ricche domus dell'epoca, in cui i convitati pranzavano semidistesi sul triclinio, una sorta di divano, allietati da canti, musica e recitazioni. Il clima culturale che si respirava all'interno del circolo di intellettuali raccolti intorno a Mecenate, probabilmente i frequentatori abituali di questo luogo, è testimoniato dai versi dipinti all'esterno dell'abside, un appassionato inno all'amore e al vino. Si tratta di un epigramma del poeta ellenistico Callimaco, del quale Orazio era considerato l'erede: “se da te, o Archino, di mia volontà venni a fare baldoria, sgridami; ma se fu senza colpa, perdona la mia audacia. Fui dal vino e dall'amor costretto: l'uno mi tirava, non permetteva l'altro che io da parte mettessi la mia temerità. Venni, ma non gridai alcun nome, baciai solo la soglia. Se questo è colpa, ebbene io sono colpevole”(ep. 42, Antologia Palatina, XII, 118).

Per la decorazione delle pareti della sala, fu scelto uno sfondo di colore rosso cinabro, non a caso uno dei pigmenti più costosi e preziosi dell'antichità, sul quale si apriva una serie di nicchie, come delle immaginarie finestre aperte sul giardino all'esterno, affrescate internamente con la rappresentazione di giardini lussureggianti scanditi da vasche e fontane e popolati di uccelli in volo. A completare questa sensazione di perfetta fusione dell'interno della sala con il giardino circostante, doveva contribuire la freschezza e il leggero mormorio della fontana posta in corrispondenza dell'abside, in cui l'acqua scorreva lungo i gradini come una piccola cascata, per raccogliersi poi in un ruscelletto artificiale, un euripus, al centro della sala.

Alla sua morte, Mecenate lasciò in eredità ad Augusto i propri possedimenti, che entrarono così a far parte delle proprietà imperiali: probabilmente, qui dimorò l'imperatore Tiberio al suo rientro da Rodi nel 2 d.C., ed in quest'occasione furono realizzati gli straordinari affreschi con pitture di paesaggio che decorano le nicchie. In seguito, alcuni restauri sono attribuibili a Nerone, che integrò queste strutture nella sua Domus aurea. Il complesso fu utilizzato ancora a lungo, almeno fino alla metà del II secolo d.C., quando lo abitò il maestro di retorica Cornelio Frontone.