Esquilino

I sepolcri sulla via Labicana

L'area immediatamente all'interno della Porta Maggiore era occupata da una vasta area funeraria utilizzata dagli ultimi decenni del I sec. a.C. fino al III sec. d.C., che costeggiava il lato nord-orientale della via Labicana. La necropoli era costituita da un nucleo compatto di piccoli edifici quadrangolari costruiti a poca distanza dal tracciato della strada, i “colombari”, sepolcri multipli ad incinerazione così definiti perché i vasi contenenti le ceneri venivano allineate lungo le pareti del sepolcro all'interno di piccole nicchie simili a quelle delle colombaie. Già nel Settecento venne riportato alla luce il sepolcro monumentale appartenuto alla famiglia degli Arrunzi, che conservava ancora intatta la copertura a volta decorata di stucchi: il sepolcro, ora scomparso, è rappresentato in alcune magnifiche incisioni dell'epoca, che ci permettono di immaginarne l'aspetto originale. Le iscrizioni conservate ci raccontano storie umane di gloria e disgrazie, come nel caso di Lucio Arrunzio, console nel 6 d.C., che costruì il sepolcro “per la propria famiglia, i liberti e gli schiavi”. Gli anni successivi furono drammatici per la famiglia degli Arrunzi: il console, racconta Tacito, si suicidò per sfuggire ad una condanna, e qualche anno dopo il suo figlio adottivo fu implicato in una congiura contro l'imperatore Claudio, in seguito alla quale tutti i beni furono confiscati e la famiglia dispersa. Nella stessa zona tornarono alla luce anche i monumenti funerari appartenenti alla insigne famiglia degli Statili, le cui iscrizioni rinvenute all'interno del colombario ci tramandano un ritratto vivido del personale che, nel cinquantennio fra il principato di Augusto e quello di Claudio, lavorò al servizio della famiglia: le iscrizioni incise sulle lastre di marmo che identificavano i singoli loculi riportano il nome di un medicus (medico), una obstetrix (ostetrica), una nutrix (nutrice), una paedagoga (maestra), un tabularius (archivista), un unctor (massaggiatore), un balnearius (addetto alla cura del balneum privato), e perfino di un servus ad hereditates (addetto alle successioni ereditarie), ma anche di un vestiarius (addetto alla cura degli abiti) ed un velarius (addetto alla pulizia dei tendaggi). Ognuno dei servi di ordine superiore, a sua volta, aveva alle sue dipendenze una schiera di sottoposti: il liberto Posidippo, maggiordomo e uomo di fiducia del padrone, aveva a disposizione ben 19 servitori, fra i quali due camerieri, un cuoco, quattro schiavi con funzioni generiche, quattro economi e cassieri. Da uno dei colombari proviene una serie di straordinari affreschi, ora esposti al Museo Nazionale di Palazzo Massimo, che narrano i Primordia urbis, la storia delle origini di Roma, con episodi che raccontano il mitico arrivo di Enea a Lavinio, sul litorale laziale, la costruzione delle mura di Lavinio, l'incontro fra Marte e Rea Silvia, fino alla nascita dei due gemelli Romolo e Remo. Il proprietario del sepolcro, Statilio Tauro, noto per il suo forte legame con Ottaviano, mostra in questo modo il suo senso di appartenenza al passato glorioso della città e l'adesione ai programmi di propaganda politica di Augusto. Anche la famiglia degli Statili ebbe un destino doloroso: nel 53 d.C. Statilio Tauro, colpito dall'accusa infamante di praticare la magia si suicidò. Lo storico Tacito racconta che le accuse, peraltro false, gli erano state rivolte da Agrippina, moglie dell'imperatore Claudio, desiderosa di impadronirsi dei suoi possedimenti sull'Esquilino, gli horti Tauriani. Tanti sono i punti oscuri della storia, ma è probabile che in questo momento siano passati al demanio imperiale sia le tenute degli Statili che i loro colombari, all'interno dei quali, a partire da questo momento, alle iscrizioni dei liberti degli Statili si sostituiscono quelle di liberti della famiglia imperiale.