Esquilino

La domus di Giunio Basso

Nel 1930, in occasione dei lavori per la costruzione del Seminario Pontificio di Studi Orientali in via Napoleone III, vennero portati alla luce i resti di alcune strutture antiche fra le quali un'aula a pianta basilicale, con abside sul lato corto, decorata sulle pareti da straordinari riquadri in opus sectile. Purtroppo, secondo l'uso del tempo, le strutture furono completamente demolite, e si salvarono solo i pannelli in opus sectile, ora suddivisi fra i Musei Capitolini e il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo. L'edificio compare più volte nei disegni rinascimentali, fra i quali un rilievo estermamente precisio di Giuliano da Sangallo; Il De Rossi, nel 1879, lo descrive fra le strutture del Monastero di S. Antonio Abate, che all'epoca occupava l'intera area. Una iscrizione trascritta nei codici rinascimentali attribuisce la costruzione della basilica a Giunio Basso, console del 331 d.C., che la realizzò al disopra di alcune botteghe del I secolo d.C., riportate in parte alla luce anche dagli scavi degli anni Trenta. Probabilmente circa 20 anni più tardi la proprietà passò in eredità a suo figlio, anch'egli chiamato Giunio Basso, morto cristiano nel 359 d.C., quando ricopriva la carica di praefectus urbi. Nel IV secolo, quando Giunio Basso costruì la sua ricca dimora, quest'area doveva ospitare numerose residenze appartenenti ai funzionari di più alto rango dello Stato: proprio accanto alla sua casa, sono stati trovati i resti della domus degli Arrippi e degli Ulpi Vibi, e poco lontano, fra le attuali via Manin e via Cavour, sorgeva la domus di Nerazio Cereale, praefectus urbi nel 352-353 e console nel 358 d.C. La grande sala nota con il nome di Basilica di Giunio Basso, quindi, non venne concepita come edificio di culto, ma come grande salone di rappresentanza della ricca residenza di un funzionario; la splendida decorazione in opus sectile delle pareti, infatti, perfettamente in linea con il gusto che caratterizzava le residenze aristocratiche dell'epoca, annoverava temi squisitamente pagani: al disopra di un alto zoccolo a decorazione geometrica con finte partizioni architettoniche, che ci è stato tramandato dai disegni rinascimentali, gli spazi chiusi fra le ampie finestre che illuminavano la sala erano decorati da pannelli con tigri che aggrediscono la preda e scene mitiche con decorazioni egittizzanti.

Il successivo proprietario della domus, il goto Valila, senatore con il nome latinizzato di Flavius Theodosius, donò forse per testamento la sua proprietà alla Chiesa che, durante il papato di Simplicio I, nella seconda metà del V secolo, vi fondò la Chiesa di S. Andrea in Catabarbara, le cui rovine resistettero al tempo fino al XIX secolo.