Esquilino

Piazza Dante

A partire dal 2011 il Palazzo delle Casse di Risparmio Postali in Piazza Dante, inaugurato nel 1914 su progetto del noto architetto Luigi Rolland, è stato sottoposto ad un intervento di radicale ristrutturazione, che ha previsto anche gli scavi archeologici preventivi al disotto del palazzo.

Gli scavi hanno riportato alla luce numerose strutture riferibili a più fasi edilizie, comprese fra l'età augustea e il IV secolo d.C., che permettono di ripercorrere anche in questo settore dell'Esquilino le vicende legate alle residenze aristocratiche che occuparono il colle nel corso dell'età imperiale. Quest'area faceva parte in antico della grandiosa villa nota come Horti Lamiani, il cui primo proprietario fu Elio Lamia, console del 3 d.C. e intimo amico dell’imperatore Tiberio. Alla sua morte la proprietà passò all'imperatore, secondo una tradizione inaugurata già dal poeta Mecenate, e da quel momento anche questo settore dell'Esquilino entrò a far parte del patrimonio privato dell'imperatore: l’imperatore Caligola elesse gli Horti Lamiani a sua residenza urbana preferita, come si deduce da famosi passi tramandati nelle fonti letterarie. Con Nerone, essi vennero inclusi molto probabilmente nel perimetro della Domus Aurea, per restare in seguito una delle residenze degli imperatori fino almeno al IV secolo d.C.

All'interno dello stabile gli scavi hanno rivelato la presenza degli imponenti muri di sostruzione realizzati all'epoca dell'imperatore Adriano. Che ebbero probabilmente lo scopo di ampliare la superficie del complesso sulla pendice dell'Esquilino rivolta ad Ovest, verso la valle Labicana e il Celio, colmando il pendio con una sorta di terrazzamento. Certamente l'elemento meglio conservato e di maggiore interesse storico-artistico emerso nel corso degli scavi appena conclusi è rappresentato dalla riscoperta di una vasta aula absidata già individuata e in parte scavata da Giuseppe Gatti nel 1911, al momento della costruzione del palazzo.

In quegli anni l'attuazione dei piani regolatori che trasformarono il volto della città all'indomani dell'Unità d'Italia portò alla scoperta e alla distruzione di gran parte del patrimonio archeologico dell'Esquilino, rapidamente documentato e in seguito demolito per lasciare posto alle nuove costruzioni. Le strutture della cosiddetta Aula Gatti si salvarono soltanto perchè si trovavano ad una quota inferiore rispetto a quella prevista dal cantiere.

L'aula-ninfeo, coperta da una volta a tutto sesto, era affiancata da altri vani minori a pianta rettangolare e si affacciava sul fosso labicano. La connessione con i giardini che si estendevano alle sue spalle, più in alto, era assicurata da una scala monumentale, che è stata rinvenuta purtroppo del tutto spoliata del rivestimento, presumibilmente in lastre di marmo. L'ambiente absidato, per il quale è in corso un articolato progetto che ne consentirà la valorizzazione e fruizione, fu realizzato in età augustea con la funzione di ninfeo, una fontana monumentale, ed era tagliato nel banco naturale; le pareti dell'aula-ninfeo sulle quali si aprivano due nicchie rettangolari, erano decorate da uno splendido mosaico in tessere di pasta vitrea e conchiglie, che raffigurava un paesaggio di cui si conservano alcuni alberi e un piccolo edificio colonnato, forse un tempio. In seguito, probabilmente durante il regno dei Flavi, le nicchie furono richiuse e la superficie curvilinea fu decorata da lastre marmoree nella parte inferiore e, superiormente, da affreschi a fondo bianco. Alcuni secoli dopo, nell'ambito della imponente attività di sostruzione del pendio già ricordata, l'aula fu inglobata dalle nuove costruzioni e interrata, restando celata alla vista per secoli.